sabato 7 settembre 2013

No alla guerra in Siria. 7 settembre: anche meditazione e preghiera come strumenti di azione politica

A un convegno su "giustizia e pace nel tempo della crisi", riguardo a come evitare le guerre, Vandana Shiva ha dichiarato: "Bisogna cominciare dalle nostre menti. Dimenticare i paradigmi di guerra, che ci hanno insegnato fin da bambini, che mettono tutti in concorrenza gli uni con gli altri e cosa contro cosa. La cultura attuale insegna a star sempre pronti a difendersi in qualsiasi momento - e maggiormente in tempi di crisi".



Siamo liete che all'appello lanciato dal Papa Francesco per una giornata di digiuno e preghiera, che sollevi la consapevolezza del mondo e sostenga una soluzione diplomatica del conflitto siriano, abbiano aderito anche tante organizzazioni di donne, fra le quali Se Non Ora Quando Factory.
Come riguardo alla violenza di genere (e contro i bambini), per affrontare positivamente ogni tema politico è necessario prima di tutto cambiare mentalità e metodo.
Sul tema specifico di un'azione di preghiera planetaria possiamo qui ricordare la cosa che ancora tanti sottovalutano: non solo la validità della preghiera ha senso per chi ha fede (secondo Gandhi essa è addirittura la più efficace forma di azione politica), ma che la frequenza del pensiero sia in grado di cambiare il mondo è un fatto scientifico oramai appurato. Questo sia detto non solo sullo strumento che segna questa giornata; ma soprattutto riguardo alla necessità di far cadere pregiudizi calcificati per iniziare a pensare in maniera nuova. CambiareMentalitàMetodo.


Ricordando che politica ed economia (da cui discendono guerra o pace) sono alla fine la stessa, identica cosa, perché l'una determina l'altra, ed entrambe sono determinate dalla mentalità: entrambe sono prodotte dalla cultura e generano a loro volta altra cultura, in un circuito senza fine che, oggi, nella sua parte preminente è molto malato.
Va dunque interrotto - come si dice. Ma anche questa è una anacronistica illusione: un ciclo dinamico non si può interrompere. Più che "spezzarlo", serve invertire l'orientamento della sua spirale. 

Vi lasciamo dunque anche il resto delle considerazioni di Vandana - una meditazione di politica femminile utile per tutti, ma soprattutto per chiunque sia impegnato in politica:

"L'atteggiamento di prevenzione e difesa è sintomo di una violenza latente che può emergere nei modi e nei luoghi più imprevedibili. Per esempio, nel mio paese, l’India, si è lavorato moltissimo per almeno 10 anni per sviluppare l’agricoltura con nuove tecnologie per consentire una produzione più abbondante, un miglior livello di vita per i produttori e raccolti più abbondanti per sfamare la popolazione.
Queste nuove tecnologie, e il modo in cui sono state introdotte, hanno prodotto squilibri sociali e proteste che sono sfociate in reazioni locali e, in una escalation di violenza, hanno determinato l’omicidio di Indira Gandhi. Quindi, da un processo messo in atto con buoni propositi di crescita e di pace, è nato un processo di violenza. È cominciato con l’introduzione dei pesticidi in agricoltura, con gli OGM, con le reazioni di chi non accettava di cambiare le proprie consuetudini e con le pressioni dei gruppi economici che invece volevano imporre i loro prodotti. È’ cominciato un processo che, benché volesse essenzialmente portare benessere a popolazioni avvezze da sempre alla fame e ai disagi, è sfuggito di mano ed è diventato un’arma che ha portato alla morte. Morte per l’avvelenamento dei cibi irrorati da pesticidi, morte per gli innumerevoli suicidi dei contadini che hanno visto le loro terre diventare improduttive, e che si sono ammazzati per i troppi debiti che non avebbero mai potuto pagare. Sono tutte attività che si svolgono nei campi più disparati della produzione e che non possono essere definite vere armi da guerra, ma che realmente, con tutta la loro forza di distruzione di massa, possono creare danni ben più gravi e incontrollabili di una guerra dichiarata.
L’agricoltura, che dovrebbe essere un elemento portante di benessere, ormai è soggetta non solo alle intemperie climatiche ma soprattutto alle restrizioni imposte dalle multinazionali che regolano i prezzi, dalle leggi che incentivano o disincentivano le produzioni, dalla criminalità mafiosa che indirizza la scelta delle coltivazioni e si è trasformata in un’arma di guerra tanto, che nel mondo ci sono almeno 2 miliardi di persone che soffrono la fame o che si alimentano con Junk Food.
Un conflitto locale minore spesso viene preso a pretesto per essere trasformato in un conflitto nazionale, sociale, religioso, razziale o viene strumentalizzato per contrastare l’immigrazione.
La primavera araba cominciò casualmente con il ritiro di una permesso da venditore a un ambulante tunisino e da questo piccolo incidente, ha avuto inizio una rivoluzione, che era già nell’aria, ma che aveva bisogno di un pretesto per iniziare. In Egitto tutto è cominciato per l’aumento del prezzo del riso. Il prezzo del riso e del pane hanno causato un effetto domino che ha prodotto l’aumento dei prezzi di tutti alimentari, dei trasporti, delle case, ecc….
Anche in Siria è cominciato tutto con la protesta degli agricoltori che avevano subito danni a causa dei cambiamenti climatici. I poveri contadini, l’anello più debole della catena economica e i più vulnerabili in caso di calamità di qualsiasi genere, come il clima, sono quelli che soffrono sempre di più. Quindi in un certo senso la ribellione, degenerata fino alla guerra civile, con decine di migliaia di morti è stata scatenata per “colpa del maltempo“. La globalizzazione, attuata senza nessun controllo, non ha portato nessuno dei benefici promessi ma è finita con l’essere il fattore determinante di tutte le crisi che sono più catastrofiche delle guerre dichiarate.

Tornando al mio paese, l’India, la crescita del PIL è al 9% [la conferenza è del giugno 2012, ndr], quindi, leggendo i dati, sembrerebbe un paese in espansione dove il benessere è a portata di mano, sembrerebbe che a tutti vada bene. Ma non si guarda mai o non si racconta come vive la gente comune. 
Ad esempio, negli ultimi anni ci sono stati 250.000 suicidi tra gli agricoltori che non riuscivano più a raccogliere dai loro campi il necessario per sostenere se stessi e la propria famiglia.
Ad esempio, passa quasi inosservato che un bambino su due non è alimentato quanto basta a sviluppare completamente il proprio corpo e il proprio cervello: e la denutrizione è il primo passo che crea povertà ed infermità, ferma l’educazione e rende l’uomo schiavo di chi ha di più e che, per questo, può sfruttare il prossimo.
Bisogna poi chiedersi: ma è veramente così importante il consumismo?
Tutti i cibi che mangiamo e che compriamo in un supermercato devono essere incartati, ricoperti di una pellicola trasparente o di alluminio e spesso venduti in un contenitore di cartone o polistirolo. Tutto questo richiede lavoro e impiego di risorse della terra come petrolio, bauxite, carbone e alberi. Tutto questo lavoro e questo spreco di risorse naturali è permesso, anzi previsto, dalla legge e per questo motivo si continua a violare e distruggere, senza un reale bisogno, tutte le risorse del pianeta.

E dunque naturale e spontaneo che ci siano manifestazioni di protesta che chiedono di riflettere sulla reale utilità di certe leggi che autorizzano l’uso, anzi l’abuso indiscriminato delle risorse naturali. Ma proprio queste proteste costituiscono poi il pretesto per distruggere anche la democrazia perché, come si è visto in molti paesi contro le proteste di gente che tenta di difendere i propri diritti, i governi inviano le truppe e applicano leggi speciali, antiterrorismo.
C’è stato e continua ad esserci un utilizzo improprio del termine “Green Economy”, per cui diventa verde tutto ciò che non serve affatto all’economia, quello che l’economia la distrugge. Come stanno suggerendo i media riguardo al rapporto dell’uomo con l’ecologia, e come si cercherà di imporre anche alla prossima conferenza Rio+20: dove si tenterà nuovamente di far credere che la privatizzazione di tutte le risorse ambientali (inclusi l’acqua, gli alberi e la possibilità di respirare aria pura) sia l’unica strada per proteggere veramente la natura.
È questa la vera guerra di oggi: è la guerra contro la gente e contro il pianeta. Dopo secoli di lotta i movimenti democratici erano riusciti a tenere separato il potere economico da quello politico, ma questo lungo processo è stato spazzato via e distrutto dalla globalizzazione: e così gli Stati sono diventati come delle aziende, delle corporation.
Uno Stato che voglia far quadrare i conti senza curarsi di come vivono i suoi cittadini, come una qualsiasi azienda, non tiene conto che le finalità di uno Stato non sono le stesse di una impresa commerciale.
Se non interverranno drastici cambi di rotta, imposti dalle proteste popolari o da chi rappresenta i veri interessi delle popolazioni, quando sarà terminata l’emergenza di queste crisi il modello economico sarà già abbastanza cambiato e radicato, che sembrerà naturale la trasformazione degli attuali Stati democratici in nuove forme di Stati militari che potranno agire legalmente contro le minoranze che tenteranno di opporsi alle scelte di governi-azienda. Nessuno si potrà ribellare per la ridotta libertà dei cittadini, come previsto dalle leggi approvate dal governo per fermare chiunque agisca per ostacolare il profitto delle grandi organizzazioni multinazionali.
Fra i metodi per rendere l’uomo meno dipendente da questi sistemi sempre più coercitivi (dei governi che impongono i compiti assegnati dai reali detentori del vero potere - quello economico-finanziario) c'è il riavvicinare l’uomo alla terra, stringendo nuovamente quel vincolo che in passato lo legava alle sue radici, che gli ha permesso di procurarsi direttamente gli alimenti con cui sfamarsi, di restare connesso al proprio territorio e ai suoi simili con cui ha costituito la società.
È così che io intendo si possa costruire la pace. Con la difesa dei beni comuni e delle comunità locali, orientandoci tutti verso una pace che sia dentro di noi e sia reciproca, non solo con il prossimo ma anche con la natura.
In questi tempi di crisi globale abbiamo una grande opportunità per ridisegnare un futuro differente, senza sprechi, con più rispetto e con una nuova speranza. Ma è un treno che non possiamo perdere.

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