sabato 15 luglio 2017

Photo Vogue Festival. Riflessioni e cambiamento?

Bella, questa citazione di Vogue Italia: “It’s snobbish and provincial to dismiss fashion as mere frivolity. It occupies too great a place in the culture. It’s a language, a drama, an arena. Clothes speak. About power, beauty, pleasure, sex, money, class, desire, gender, age —the aspirations and desperations of millions of people.” Judith Thurman


E infatti, quello che distingue Vogue Italia dagli altri magazine (scrive di se stessa Vogue stessa, ndr) è la profonda comprensione della moda come linguaggio: è la nostra interfaccia visuale con il mondo, con cui comunichiamo e costruiamo la nostra identità – e nessun arte (senza accento nell’originale, ndr) l’ha raccontata meglio della fotografia. E, quando entrano in gioco i grandi maestri della fotografia di moda, il risultato è una testimonianza imprescindibile dei cambiamenti socio-culturali che hanno caratterizzato una data epoca.
Così apprendiamo che è per questo che nel 2016 è nato il Photo Vogue Festival, primo festival internazionale interamente dedicato alla fotografia di moda legato a un magazine autorevole… la seconda edizione del Photo Vogue Festival si terrà a Milano il prossimo novembre e coinvolgerà (ci informa Vogue stessa) l’intera città con talk, mostre ed eventi fotografici, anche grazie al contributo delle istituzioni culturali, delle scuole di fotografia e delle gallerie specializzate.  
Il festival prevede quest’anno una monografica del grande maestro della fashion photography Paolo Roversi …realizzata grazie al contributo incondizionato di Mediolanum farmaceutici SpA. Ottimo sponsor, senza malizia; perché oggi la moda è anoressia e l’anoressia è un business; della medicina, oltre che di tanti altri settori.
Vogue scrive ancora: La moda è intrinsecamente politica (vero, ndr). Per sua stessa natura deve confrontarsi costantemente con temi come il genere, il censo, la costruzione dell’identità, e con i desideri, i sogni e le interazioni di generazioni intere (confrontarsi con essi, o indirizzarli? ndr). La sua esistenza e la sua rilevanza dipendono proprio dalla capacità di captare i movimenti della società – anche i più microscopici, o  ancora in fase embrionale – e di portarli allo scoperto. La moda ha da sempre a che fare con queste questioni e, nonostante le controversie che a volte suscita, è per sua stessa essenza chiamata ad affrontarli (vero, ndr). Non esistono insomma argomenti che non possa trattare: esistono modi che funzionano e modi che non funzionano, e lo scarto tra questi due poli è molto sottile e difficile da definire. (…) In questa edizione del Photo Vogue Festival abbiamo deciso di analizzare come la fotografia di moda abbia saputo veicolare contenuti che vanno molto oltre i semplici intenti pubblicitari. Sarà un modo di guardarsi allo specchio e di riflettere su qualcosa che il nostro magazine fa da quando esiste: capire cosa c’è intorno, cosa sta per cambiare, e come abbracciare, accelerare o influenzare questo cambiamento.”
Bene, e allora riflettiamo, cari tipi di Vogue: nel mio piccolo vi invito a farlo ri-scrivendo per voi una lettera che era, in origine, per la “guru della moda” Paola Pollo. Non serve farne una nuova; dovrei dire solo le stesse, identiche cose; tanto vale dunque riciclarla in buona parte, cambiando solo i dettagli essenziali, in relazione al nuovo destinatario.  

Cari signori di Vogue, io non vi conosco, e sul piano personale siete di sicuro brave persone; sul piano professionale, però, voi siete come tutti quelli che, parlando di moda, irresponsabilmente alimentano messaggi che fanno male alle persone. Voi lo sapete, su questo non c'è alcun dubbio; l'informazione che vorrei darvi è che lo sappiamo anche noi. Fatevene una ragione: tutto questo fomentare stilisti (o fotografi) che sparano tendenze delinquenziali come un pazzo spara dalla finestra con un bazooka, non solo è colpevole, ma lo è oramai smaccatamente, sotto gli occhi di tutti. Dopo anni e anni di questo andazzo, che ha contribuito notevolmente a fare dell’anoressia una piaga sociale, tutto quel che sapete fare è infiorare i proiettili con qualche occasionale boutade superficiale e ipocrita, addirittura ammantata di impegno per il cambiamento, senza cambiare mai niente. L’occasione attuale, addirittura, con la prima foto scelta per rappresentare il Festival, pretendeva di “denunciare” la violenza contro le donne in Libia (?) prendendo a vessillo una foto che mostra una donna brutalizzata da autorità maschili, che la immobilizzano a terra schiacciandola sotto ai piedi, con il tacco nel collo. Una foto glamour sulla violenza maschile.


Scusate, ma mi sono arrabbiata; mi sembra che, al contrario di quel che dichiarate, come uno zerbino voi vi sdraiate  nel comodo alveo della cultura dello stupro, da cui siamo (letteralmente) nati, e nella quale la moda si trova  tradizionalmente benissimo. 
E’ un bello schifo, signori di Vogue, il nocciolo è questo. Lo fanno tutti, certo. Ma voi meglio di tutti gli altri. Basti pensare alla “campagna contro l’anoressia” che anni fa vi siete inventati, il cui nobile scopo era criminalizzare i blog  pro-ana (in gran parte creati da indifese ragazzine autolesioniste), quando il maggior blog pro-ana della storia siete sempre sempre stati voi.  Di questa evidenza, c'è  anche qui una carrellata abbastanza eloquente.
Ma insomma, di che mi lagno? Non chiedetemi che c'è di male, a nutrire da decenni la perfetta immagine di quella donna-pegggio-che-oggetto da cui noi donne cerchiamo disperatamente di difenderci da sempre, ma senza successo, grazie anche alle politiche editoriali di “giornali” come il vostro; che è ben più di un giornaletto, è una potenza.
Un vero cambiamento nella moda sarebbe incoraggiare le ragazze ad accettarsi anche se non hanno BMI inferiore a 16, e veder accettare anche modelle che non siano vessilli dell’anoressia, perché sapete: relegare quelle dal BMI da 17 in su nella categoria “curvy” (meglio ancora se intente a sdraiarsi su un piatto di pasta) è un messaggio ancor peggiore che ignorarle. 

Ma la recente esperienza francese insegna che, perfino di fronte alle migliori intenzioni di un governo di far passare una legge, ci pensano i “colossi della moda” (di cui non si può negare Vogue faccia parte) a impedirne l’efficacia. 
Una testata conscia del potere che ormai avete, invece, e intenzionata a usarlo bene, inizierebbe a sottolineare che questa ossessione ha francamente stufato: hanno stufato le sue conseguenze che si pagano in termini di perdita di dignità delle donne, ma anche di dolore: di malattie e lacrime. 
E invece a cosa assistiamo? All’ennesima incoronazione dei soliti stereotipi, mentre contro la vera violenza non si fa nulla, e tantomeno contro quella sua terribile espressione che è l’anoressia; alla faccia nostra, e delle centinaia di migliaia di famiglie che continuano ad esserne devastate nell’indifferenza generale. 





Ma se poi aggiungiamo presunti “messaggi contro la violenza”, che sono esattamente il contrario, non pretendiamo che la cosa passi anche inosservata.
Tutto questo è colpevole, signori di Vogue, e lo è alla luce del sole. 

E questo è tutto. Cordiali saluti. Mari, e le altre

PS - seguono esempi di donne bollate come "curvy"; che per tutte le ragazzine in cerca di modelli da imitare sta per "ciccione": e non ditemi che il messaggio non è chiaro. A quanto pare, nella visione promossa Vogue, questa categoria-ghetto include anche tutte le donne semplicemente non gravemente sottopeso.




mercoledì 12 luglio 2017

Stalking e riforma del diritto penale, il parere di D.i.Re Donne in rete

Una decina di giorni fa, il Governo Gentiloni ha incassato una dura contestazione da parte del movimento delle donne sulla riforma del diritto penale che riguarda anche il reato di stalking. 

A dare fuoco alle polveri sono state  Loredana Taddei, responsabile nazionale delle Politiche di Genere della Cgil, Liliana Ocmin, responsabile del Coordinamento nazionale donne della Cisl e Alessandra Menelao, responsabile nazionale dei Centri ascolto della Uil che hanno  firmato un comunicato stampa congiunto di denuncia della  pericolosa sottovalutazione del reato di stalking perchè nella riforma del diritto penale è stato inserito l’articolo 162 ter che prevede la possibilità di estinguere i reati procedibili a querela di parte (e per i quali si può rimettere la querela) con l’offerta  un risarcimento alla vittima. La somma pattuita potrà essere pagata anche a  rate e sarà  il giudice a decidere se il risarcimento sarà congruo perché la vittima non avrà diritto di parola e non potrà scegliere se accettare o rifiutare “la riparazione”.  Il problema è che nel 162 ter potranno rientrare anche le denunce per stalking a querela di parte che il legislatore reputa “lievi“. 

Dopo le proteste, Andrea Orlando, il ministro alla Giustizia, è intervenuto per dire che si sarebbe posto rimedio rendendo il reato di stalking, procedibile d'ufficio. e questo ha suscitato le preoccupazioni dell'associazione nazionale D.i.Re che è intervenuta mettendo a fuoco qual'è in sostanza il nodo del problema: "La  cosiddetta Riforma Orlando. ha introdotto nel nostro ordinamento uno strumento di giustizia riparativa. Per alcuni reati sarà possibile che l’indagato risarcisca o ripari il danno cagionato, con conseguente estinzione del reato. Questo meccanismo risulterebbe applicabile anche ai casi di stalking apparentemente meno gravi (procedibili a querela, gli stessi per cui si può richiedere l’ammonimento da parte del Questore). L’ipotesi ventilata di estendere la procedibilità per questi reati (nel caso dello stalking è graduata, dalla procedibilità a querela a quella d’ufficio, in base alla gravità delle condotte) a nostro parere non coglie il vero nodo del problema. Il nodo  non è la procedibilità del reato di stalking, quanto l’assenza nel nostro ordinamento di una norma che – in ossequio al disposto dell’art. 48 della Convenzione di Istanbul – vieti il ricorso a metodi alternativi di risoluzione dei conflitti tra cui la mediazione e la conciliazione nei casi di violenza di genere. Una semplice clausola di esclusione risolverebbe alla radice il problema".

La  Convenzione di Istanbul, infatti, prevede all’art. 45 che “i reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione siano puniti con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive” mentre la direttiva vittime, la  2012/29/EU,   impone ( articoli 12 e 22) una  particolare cautela nei casi di giustizia riparativa nelle  ipotesi di violenza di genere. Quando esiste un alto rischio di vittimizzazione secondaria come le intimidazioni e le ritorsioni si deve proteggere adeguatamente la vittima rispettandone la volontà.

 D.i.Re ha espresso anche preoccupazione per la proposta del ministro della Giustizia, Andrea  Orlando,  di rendere il reato di stalking procedibile d'ufficio ricordando che:" Il dibattito che ha preceduto e seguito la previsione normativa dello stalking si è concentrato sulla scelta di ritenerlo procedibile a querela della persona offesa e sulla possibilità di rimessione della stessa. Questo derivava dall’esigenza che è sempre  al primo posto nei Centri antiviolenza di  lasciare libere le donne di valutare se denunciare o no senza  considerare lo stalking un reato che coinvolge interessi strettamente individuali, né sottovalutare il pubblico interesse a reprimere condotte tanto lesive di beni e valori fondamentali valorizzando al massimo la libertà delle donne".  Insomma la toppa potrebbe essere peggio del buco.

L'auspicio è che si esca dal problema mantenendo coerenza tra le leggi italiane, la Convenzione di Istanbul e le normative europee in materia di violenza contro le donne e che  lo Stato non modifichi la riforma per rendere procedibile d’ufficio il reato di atti persecutori ma  escluda dalla applicabilità dell’art.162 ter c.p. il reato di atti persecutori e in ogni caso escluda ogni forma alternativa o riparativa nei processi che vedono le donne vittime della violenza da parte degli uomini, come sancito dalla Convenzione di Istanbul.

@nadiesdaa

giovedì 6 luglio 2017

Lo stupro non è una bambinata


"Come lo vogliamo chiamare, definire? Bambinata". Michele Palummo, il sindaco di Pimonte  ha commentato con queste parole lo stupro avvenuto nel 2016 nella sua città. Lo ha fatto rilasciando balbettanti dichiarazioni al microfono di un basito Roberto D'Antonio, giornalista del programma L'Aria che Tira (La 7), che lo ha incalzato domandandogli "Bambinata uno stupro di gruppo"?
Il commento del primo cittadino della piccola comunità di seimila abitanti, in provincia di Napoli,  ha suscitato la rabbia e l'indignazione di molte donne e attiviste femministe. Grazie ai social sono partite diverse iniziative per protestare contro affermazioni gravi che banalizzano una violenza gravissima in modo intollerabile e che offendono la giovanissima vittima di uno stupro di gruppo, i suoi familiari e anche  tutte le donne vittime di violenza. Alla email del sindaco di Pimonte sono arrivate numerosissime proteste con la richiesta di chiedere scusa e di dimettersi, Nel pomeriggio Palummo ha corretto il tiro: "Intendo prima di ogni altra cosa porgere le mie più sentite scuse alla nostra giovane concittadina, alla sua famiglia e all’intera cittadinanza per aver utilizzato, durante l’intervista a La 7, un’espressione infelice, assolutamente impropria e che non era affatto riferita a quanto le è purtroppo capitato".
I fatti risalgono ad un anno fa, quando una ragazza di 15 anni subì violenza di gruppo da parte di undici ragazzi, tutti, all'epoca dei fatti, minorenni. Dopo qualche mese, gli stupratori sono tornati in libertà e la ragazza e i suoi familiari hanno deciso di lasciare Pimonte e si sono trasferiti in Germania per cercare di ritrovare serenità. Una storia purtroppo già vista. Non è raro che le donne vittime di stupro lascino la città dove vivono e lavorano a causa di uno stupro. Lo fanno per evitare di incontrare i loro stupratori una volta usciti di prigione oppure per proteggersi dall'ostilità della comunità che solidarizza con gli stupratori perché   "lei ha rovinato dei bravi ragazzi", "perché lei ci stava"o "se l'è cercata". 
Così dopo la la violenza le donne devono fronteggiare talvolta l'ostracismo della gente come  fossero colpevoli e a violenza si aggiunge violenza. E' la cultura dello stupro che ri-vittimizza le donne, che le colpevolizza per aver parlato e denunciato invece di tacere. Gli abitanti di Pimonte omertosi e insofferenti per le domande del giornalista de La 7, ci hanno fatto capire dalla parte di chi stavano, ovvero dalla parte del branco.
Il garante per l’Infanzia della Campania, Cesare Romano ha detto che  a Pimonte “non si è fatto abbastanza per assicurare protezione alla giovane: i continui schemi e l’esclusione sociale che la ragazza ha dovuto subire hanno aggravato il suo disagio psicologico al punto che la famiglia ha deciso di abbandonare il paese di Pimonte e trasferirsi nuovamente in Germania dove, forse, la minore e la sua famiglia potranno riacquistare la tranquillità di cui ha bisogno”. 
No, lo stupro non è una bambinata nemmeno quando è commesso da minorenni e quando accade che gli stupratori abbiano meno di 18 anni,  il mondo degli adulti dovrebbe interrogarsi e capire dove sono le responsabilità della comunità, della società e della famiglia dove piccoli stupratori crescono.


Bambinata stupro

@nadiesdaa