sabato 16 maggio 2015

Quelle che il calcio lo danno a Belloli. E al sessismo che nega opportunità e fa sparire i soldi

#Bellolidimettiti • Ha poco da gridare al golpe, Felice Belloli. Le giocatrici di calcio chiedono le sue dimissioni per un'affermazione (basta parlare di dare soldi a 4 lesbiche) che ora lui nega, ma che figura chiara e netta nel verbale di riunione del Consiglio di Dipartimento Calcio Femminile del 5/2/2015.
Ed è confermata da Sonia Pessotto, ex calciatrice e consigliera del Dipartimento Calcio Femminile della Figc: «io c’ero: quella frase l’ha detta. Ora si dimetta da presidente della Lega Dilettanti». Sul fatto si è espresso duramente anche il presidente FIGC Carlo Tavecchio.
Ma va sottolineato che quella di Belloli non è una semplice affermazione, quanto una precisa posizione, perfettamente rappresentativa del sessismo insultante alla base di una politica dello sport (quella italiana) che bolla letteralmente le donne, di default, come dilettanti. E non per scherzo o per ironia, ma per definizione: sancendo il principio che le donne, semplicemente, non possono essere considerate professioniste. Con tutte le discriminazioni che ne seguono, e relativi corollari (come al solito) di difficoltà infinite che alle donne sono (cavallerescamente) riservate da chi decide. E chi decide, guarda caso, al solito è maschio: non c'è dunque da stupirsi che, nel 2015, i regolamenti (e la mancanza di chiarezza) del CONI ancora impediscano alle donne di accedere al professionismo sportivo. 
Secondo la legge 9 del 3/3/1981 lo status di “sportivo professionista” (diverso da quello di “dilettante”) è, infatti, definito dalle singole federazioni sportive nazionali, che si dovrebbero rimettere alle direttive stabilite dal CONI. Ma a 34 anni dall’entrata in vigore di questa legge, molte federazioni approfittano del fatto che il CONI non abbia ancora chiarito la distinzione fra professionismo e dilettantismo per escludere esplicitamente le donne dall’area del professionismo. E il caso più eclatante di questo sessismo è proprio quello del calcio, che discrimina allegramente in casa e fuori casa


Altro esempio è la pallacanestro, che non permette alle donne la partecipazione ai campionati nazionali. L'Italia si conferma così in vetta alla classifica del vero sport internazionale che non conosce confini: penalizzare le donne con  gravi discriminazioni.
Una risoluzione 5 giugno 2003 del Parlamento Europeo, peraltro, chiedeva agli Stati membri di assicurare alle donne e agli uomini pari condizioni di accesso alla pratica sportiva, sollecitando gli Stati membri a sopprimere nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello la distinzione fra pratiche maschili e femminili. Ma l'Italia, ovviamente, a questa sollecitazione non si è mai adeguata: ne risulta che le atlete italiane (dalla Vezzali alla Pellegrini, dalla Kostner alla Idem, alla nostra Nazionale di Rugby che quest’anno ha raggiunto il miglior risultato di sempre nel campionato europeo noto come 6 Nazioni), secondo i regolamenti del CONI fanno sport solo per “diletto”.
A che serve incentivare il settore e - addirittura! - mettere a disposizione fondi?
L'imposizione del “dilettantismo” impedisce inoltre alle atlete di usufruire della legge 91/81 che regola i rapporti con le società, la previdenza sociale, l’assistenza sanitaria, il trattamento pensionistico, ecc.
E, mentre su questi dati si glissa, intanto si alimenta il pregiudizio per cui le donne nello sport non riescono ad arrivare ai vertici a causa delle loro «inclinazioni naturali, che le orientano verso ruoli in cui riescono meglio» (fare la calza? cucinare per il marito? combattere la cellulite?).
La verità è che le donne non ci arrivano perché questi regolamenti sessisti lo impediscono. 
In Italia a impedirlo è il CONI, e per questo le donne hanno promosso una petizione per mettere fine a questa situazione: la trovate QUI
Invitando a firmarla, ci associamo alla protesta delle calciatrici, che chiedono le dimissioni di Belloli ma anche un cambio della guardia a livello di enti: il Calcio Femminile deve essere governato dalle componenti federali che ad oggi hanno dimostrato di crederci, e che il campo lo vivono quotidianamente.
Reclamando le sue dimissioni, le calciatrici scrivono a Belloli, chiedendogli di dire pubblicamente cosa pensa delle bambine, ragazze e donne che giocano a calcio e che cosa sta facendo per esse; e aggiungono:
Nel caso venisse provata la sua responsabilità lei, purtroppo, sarebbe in grande compagnia nel nostro paese e soprattutto nel mondo del calcio. Cogliamo quindi l’occasione per dire, non solo a lei, che siamo stanche: adesso basta!
Siamo stanche dei soliti luoghi comuni. Siamo stanche che l’identità sessuale delle persone e di noi giocatrici in particolare sia argomento di interesse e giudizio primario. Siamo stanche di non essere viste, valorizzate e criticate esclusivamente per quello che facciamo in campo. Siamo stanche, da quando siamo bambine a quando siamo adulte, di sentirci dire che il calcio è uno sport da maschi e per maschi e che chi lo pratica perde la sua femminilità. Siamo stanche che ci sia un unico stereotipo di femminilità e un unico stereotipo di mascolinità.
Siamo stanche di sentirci dire che i soldi non ci sono.

Siamo stanche che il tempo passi e la situazione del nostro movimento peggiori invece di migliorare. Siamo una delle poche nazioni in controtendenza: mentre nel mondo il calcio femminile è tra gli sport di squadra tra i più praticati dalle bambine e ragazze, in Italia i numeri sono costantemente in calo.

In Europa tutte le federazioni stanno investendo importanti risorse economiche per promuovere il calcio femminile mentre in Italia si investono poche risorse: le briciole.

La Federazione ha istituito una commissione federale per la promozione e sviluppo del calcio femminile con un budget di 300.000 euro annui. La commissione è stata convocata pochi mesi fa. Era stata ferma per più di un anno. Tutte le progettualità presentate soprattutto dall'Associazione Allenatori e Associazione Calciatori sono state di fatto bloccate. Le decisioni prese all'unanimità sulle riforme dei campionati sono state disconosciute.

La Commissione è stata poi accusata di immobilismo e di non essere stata in grado di spendere i soldi stanziati. Questi soldi, anno dopo anno, non vengono accumulati ma paradossalmente vanno persi. Oltre al danno la beffa!

La UEFA dà contributi alle Federazioni per promuovere e sviluppare il Calcio Femminile. Contributi che arrivano anche alla nostra Federazione ma non si sa quanti sono e come vengono spesi.




Da quando il Calcio Femminile è passato sotto il controllo diretto della Lega Dilettanti (con forte opposizione dell'AIAC e AIC), perdendo di fatto il proprio potere decisionale, la situazione del movimento va sempre peggiorando:
Sono state tolte risorse per trasmettere le partite di cartello del campionato di Serie A e Coppa Italia, togliendo visibilità.
Non vi è nessun sostegno economico alle società. Tantomeno alle società che investono nel creare e mantenere una scuola calcio e un settore giovanile.
Non vi è una progettualità per dare opportunità alle bambine di giocare al gioco del calcio insieme ai loro compagni maschi.
I fatti portano a pensare che il massimo esponente del Calcio Femminile, e non solo lui, quella frase, se non l'ha detta, con i fatti sopra citati la condivide. Siamo stanche!
Crediamo che il Calcio Femminile debba essere governato da chi veramente crede nel movimento e ha passione per questo sport. Le componenti federali che ad oggi hanno dimostrato di crederci e che stanno stimolando continuamente la Federazione sono quelle che il campo lo vivono quotidianamente, le componenti tecniche.

Quindi che il calcio femminile sia governato da loro.
#BelloliDimettiti

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